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Una battaglia per la libertà “dell’Essere”

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Abuelas de Plaza de Mayo : una battaglia per la libertà “dell’Essere”.


L’articolo che intendo presentare non potrebbe esistere senza il lavoro di ricerca svolto dall’associazione Argentina: “Abuelas de Plaza de Mayo” (APM), a cui va il merito di avere intrapreso per prima, successivamente con l’aiuto del CONADI, la difficile e dolorosa ricerca dell’identità perduta di centinaia di bambini scomparsi subito dopo il parto delle madri. Queste donne risultano ancora oggi desaparecidas in seguito la loro detenzione illegale nei “Centros Clandestinos de Detención”, (CCD), funzionanti dal 1976 al 1983 durante il regime militare instaurato dal generale Jorge Rafael Videla, insieme alle alte cariche delle Forze Armate.
Questi neonati sequestrati alle famiglie d’origine sono comunemente chiamati: “los nietos desaparecidos”, ovvero i nipoti scomparsi, appellativo che sottolinea ancora di più l’unico legame familiare esistente con i genitori uccisi nei CCD. Una rivendicazione di parentela, quella delle abuelas, che è in realtà una lotta a favore dei nipoti perché possano riappropriarsi delle proprie origini rubate.
Qui mi propongo di analizzare, attraverso fonti documentali di varia natura e testimonianze dirette negli ultimi processi, quella che può essere considerata una delle più grandi offese recate, non solo alla dignità umana, ma alla più profonda memoria di un popolo, quella legata alla propria identità biologica e storica, e come questa strategia di cancellazione del legame madre-figlio sia stata funzionale e fondamentale all’interno del disegno di repressione del regime, lasciando tuttora una profonda ferità nella storia quotidiana del popolo argentino.
Ma soprattutto è mia intenzione soffermarmi sulla domanda: PERCHE’? Perché restituire i nietos alle abuelas? Perché sconvolgere la vita di ragazzi, oramai adulti, che non hanno nessuna memoria delle proprie origini?
Questo quesito è stato posto all’associazione APM innumerevoli volte e spesso con lo scopo di sminuire, se non addirittura screditare, il lavoro delle abuelas, accusandole di minare la psiche dei loro stessi nipoti, per puro spirito giustizialista.
Eppure, se anche solo a livello istintivo ed emotivo, il senso della ricerca di queste donne mi apparve così chiaro non appena conobbi la loro storia, che decisi, con questo lavoro e con numerose ricerche, di far emergere tramite l’analisi dei fatti, il meraviglioso spirito di “libertà” prima ancora che di giustizia, che muove la “lucha” delle abuelas.
Durante la mia analisi vedremo come la storia dei ragazzi cresciuti dagli apropriadores sia la storia dell’irruzione dell’orrore della dittatura durante tutta la loro crescita in “cattività”; questo orrore provocò una frattura sul loro iniziale processo psichico, anche dopo averlo potuto simbolizzare. L’orrore, a livello incoscio, s’insinua con costanza nella vita come effetto continuo e latente che attua una costante difesa repressiva. L’apparato psichico di questi bambini, per non distruggersi e disgregarsi del tutto, ha lasciato che l’orrore venisse incapsulato e si adattasse ad un sistema ordinario di bugie.
Per la necessità di possederlo, gli apropiadores lo spogliarono della propria identità, iniziarono a rimpiazzare la stessa base dell’ESSERE, annullarono i desideri familiari e sostituirono il progetto che i genitori avevano sperato per i figli. La volontà di appropriazione, lasciava il bambino sottomesso al possesso alienandolo dalle sue vere necessità. Disconoscendo così l’unicità dell’essere di ogni bambino, cancellandone le famiglie e imponendosi come figure d’identificazione paterne fraudolente.
La resistenza a restituire i ragazzi alla famiglie non ha nulla a che vedere con l’amore, si fa scudo dell’amore, secondo un’accezione perversa di un amore basato sul possesso, a volte sul senso di colpa e sempre negando la natura e l’identità originaria degli stessi ragazzi.
Quella delle abuelas diviene così la battaglia per aiutare innanzitutto i loro nipoti a ritrovare la propria identità, e con essa la libertà di essere e di essere amati per ciò che sono e non più per il macabro simbolo che rappresentavano per i loro apropriadores, è la battaglia per il diritto ad una sana e serena costruzione del proprio sé.
E infine il mio vuole essere un vero è proprio omaggio, per l’enorme gratitudine che noi tutti, come cittadini del mondo e come singoli esseri umani, dobbiamo a queste straordinarie donne, perché nella loro incredibile battaglia vi è racchiuso il germe della speranza e dell’esortazione ad associarsi e condurre una comune battaglia anche là dove i poteri forti sembrino imbattibili. Le Abuelas de Plaza de Mayo sono delle vincitrici, che da vittime hanno trovato la forza di diventare non solo giudici, ma vero e proprio “mezzo” per far condannare i loro stessi aguzzini.


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