Buena Memoria


Buena Memoria
Inizia con una grande foto: è una foto di classe, del 1967.
La classe è di Marcelo Brodsky, il 1° anno, 6° sezione (terza media), collegio Nacional de Buenos Aires.

L’autore è intervenuto su questa foto con delle matite colorate: per cerchiare i visi dei compagni di cui ha avuto notizie e per informarci innanzitutto se sono vivi, poi cosa fanno e dove vivono. Gli anni passati non sono così tanti, si può dire che dovrebbero essere tutti vivi.

Invece due ritratti sono cerchiati di rosso con una linea che li cancella perchè Martìn fu il primo che sequestrarono, Claudio lo uccisero in un conflitto a fuoco.

Così ci introduce nel suo viaggio attraverso la memoria, la sua personale, che però è quella di tutta L’Argentina: gli anni della dittatura militare, le sparizioni, i voli della morte.

Dopo aver ritrovato, ritratto e ricostruito le vite dei compagni vivi, si aprono le altre sezioni della mostra, quelle dedicate ai suoi amori scomparsi: Martìn, il suo migliore amico e Fernando suo fratello.

Apre in punta dei piedi alla sua vita privata, con le foto di famiglia, delle vacanze, dei giochi e della gioia di stare insieme. Immagina dalle foto quello che avrebbero potuto essere, insieme e come individui.

Come la foto che ritrae il fratello da ragazzino sul letto, una delle prime scattate Marcelo o la sequenza tratta da un super otto in cui Marcelo e Fernando giocano alla morte.

Si pensa subito alla foto come ad un presagio del futuro e non ci sono parole migliori di quelle di Josè Pablo Feinmann: “E’ una foto strana. Fernando è seduto sul letto e guarda la fotocamera con la testa lievemente inclinata a sinistra. Ma non ha volto. Una luce improvvisa e violenta vela i suoi tratti. Fernando sarà scomparso a ventidue anni. Quella sua foto è un presagio del destino ultimo che i boia hanno voluto procurare al suo volto: cancellarlo dalla realtà, dall’esistenza e dalla memoria. Suppongo, quindi, che uno dei propositi più profondi che animano Marcelo a fare questo libro sia ridare a suo fratello il volto che aveva (…) Quando la sofferenza e smisurata si corre il rischio dell’astrazione. Ci dicono diecimila, quindicimila, trentamila e la cifra fa orrore. Ma l’orrore è per la cifra, non per le persone.”

Marcelo ridà a fernando il suo volto come fanno le madres quando in piazza de Mayo portano alte le fotografie di figli e nipoti perché ogni scomparso sia un volto e non un numero.

“La restituzione dei tratti sorgerà solo dall’ostinazione della memoria. Per questo motivo, questo è il libro di un fotografo. Di un uomo che ha scelto il mestiere di vedere, la professione di guardare.”

E oltre ad aver scelto il mestiere di guardare, in questo caso unisce il coraggio di farlo dentro la memoria.
E.S.P.