Vite senza corpi


Jorge Ithurburu

VITE SENZA CORPI
Memoria, Verità e Giustizia
per i desaparecidos italiani all’ESMA


A cura di
Jorge Ithurburu – Cristiano Colombi
Edizioni Gorée


"Il processo ESMA (Escuela Superior de Mecánica de la Armada, ovvero il più noto centro di detenzione clandestina allestito durante la dittatura), come tutti gli altri processi sui desaparecidos italiani in argentina, è stato portato avanti da un comitato promotore formato da un insieme di associazioni, enti e professionisti, donne e uomini di buona volontà e singoli cittadini che a vario titolo hanno dato il loro apporto volontario. Questo libro vuole rispecchiare la pluralità di un agire collettivo, presentando le diverse prospettive dei singoli autori che hanno partecipato direttamente e senza esclusione al processo.

Le giornaliste Cecilia Rinaldini ed Anna Maria De Luca hanno raccontato le udienze di Rebibbia al pubblico di Radio RAI e Repubblica.it. Il fisico Mario Villani, la «Madre di Plaza de Mayo» Vera Vigevani ed il Ministro argentino Eduardo Luis Duhalde sono stati sentiti in qualità di testimoni e persone informate sui fatti. Marcello Gentili, Giancarlo Maniga e Nicola Brigida sono stati gli avvocati di parte civile e Francesco Caporale il Pubblico Ministero.

A ciascuno di loro abbiamo chiesto di ricostruire cosa abbia rappresentato l’ESMA cercando di evidenziare alcuni degli elementi emersi durante il dibattimento che potrebbero avere un’utilità ed una valenza generale, il dolore e la sofferenza resi pubblici dal processo."




Prezzo: € 15,00 - Pagine: 284 - Disponibile - Pubblicazione: 5/2011 - ISBN: 978-88-89605-98-1 - Dimensioni: 15x21

Presentazioni


Presentazioni, partecipazione convegni ed eventi realizzati nel 2011 e 2012
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Sintesi dei contenuti
Contiene i seguenti saggi:

Jorge Ithurburu, Dall'ESMA a Roma
Cecilia Rinaldini, Il processo di Rebibbia
Anna Maria De Luca, La storia di Angela
Marcello Gentili, I sequestri dei neonati
Mario C. Villani, La tortura
Giancarlo Maniga, La quotidiana banalità del male
Vera Vigevani, La storia di una Madre
Nicola Brigida, Giustizia nelle sentenze
Eduardo Luis Duhalde, Il futuro dell’ESMA

Documenti:

Francesco Caporale, Requisitoria del Pubblico Ministero

Dall'ESMA a Roma
di Jorge Ithurburu

"Presentata la denuncia con la deposizione testimoniale di Inocencia Luca il 9/06/1999, siamo intervenuti attraverso il Comitato Diritti Umani della Camera dei Deputati (On. Francesca Izzo) per ottenere l’autorizzazione del Ministro della Giustizia Oliviero Diliberto, come previstdall’Art. 8 c.p.
Nei mesi successivi il PM Francesco Caporale venne autorizzato a recarsi in Argentina per svolgere attività utili all’istruttoria del procedimento. Memori del trattamento oltraggioso che avevano ricevuto cinque anni prima i magistrati italiani e a conoscenza dei principi della Suprema Impunità ivi imperanti, il PM Caporale preferì, come d’altronde era sua inclinazione, fare una visita discreta per conoscere i luoghi e le persone senza formulare una istanza di assistenza giudiziaria.
Sono stato testimone di alcuni di questi incontri che hanno fatto crescere in me l’ammirazione per l’uomo Francesco Caporale. In particolare ricordo una sera durante la riunione dell’Asociación de ex-detenidos desaparecidos, ovvero la riunione dei reduci del campi di concentramento che guardavano con sospetto la presenza del magistrato.
I nuovi arrivati non si presentavano entrando nella sala con il grosso tavolo per le riunioni, ma Caporale ad ogni nuovo venuto spiegava chi era e cosa voleva da loro.
Molti anni più tardi a Rebibbia, quel comportamento del PM fu ripagato dai testimoni che si presentarono, nessuno escluso, nonostante non avessero alcun obbligo alcuni chiedendo le ferie, altri spostando impegni familiari e professionali pur di venire a deporre."


Il processo di Rebibbia
di Cecilia Rinaldini

“In nome del popolo italiano dichiara Acosta Jorge Eduardo, Astiz Alfredo Ignacio, Vildoza Jorge Raul, Vañek Antonio e Fébres Héctor Antonio colpevoli del reato continuato loro ascritto e li condanna alla pena dell’ergastolo”.

Per la prima volta tutti in piedi, muti, nell’aula bunker di Rebibbia. Al sentire anche il nome di Vañek una corrente di sorpresa mista a incredulità, come una cascata, dalla pedana della corte piomba giù e travolge la platea. L’applauso scatta spontaneo, liberatorio. Sorride raggiante Estela Carlotto, la presidente delle Abuelas, che alza l’indice e il medio in segno di vittoria. La corte si ritira, partono gli abbracci e i flash. Selve di telecamere e microfoni."


La storia di Angela
di Anna Maria De Luca

"Bianco e celeste: ancora oggi le barche, a Fuscaldo, portano i colori dell’Argentina. Perché così le dipinse, più di cento anni fa, il nonno di Angela Maria Aieta, Francesco Simone.
Inizia qui, in questo piccolo paese adagiato sulla costa calabrese del Tirreno, la storia di una donna semplice ma coraggiosa.
Nel 1921, quando nacque Angela Maria, Fuscaldo offriva solo le ricchezze del mare. Emigrò da piccola con il padre, come tanti in quel tempo, alla ricerca di una vita migliore. Raggiunse il suo sogno, lo costruì pazientemente, giorno dopo giorno, insieme al marito Umberto. Ma il suo piccolo mondo di certezze e di serenità all’improvviso crollò a pezzi, sotto i colpi della dittatura militare che si abbatté violentemente su tutta la sua famiglia, a più riprese.
E così doña María, come tutti la chiamavano in Argentina, reagì: decise di combattere, per aiutare i suoi figli – Dante, buttato in un carcere a regime duro senza mai un processo e Jorge, perseguitato ogni giorno alle imboscate tese dai militari - che in nome della libertà non avevano esitato a gettarsi in prima linea contro il regime e ne stavano pagando le dure conseguenze. Si gettò in una battaglia per lei, casalinga 55enne, impossibile da vincere, ma che le apparteneva. Come madre si prodigò anche per i compagni dei suoi figli, anch’essi detenuti dai militari. Ed aiutò i loro genitori a costruire una rete di mutuo soccorso familiare. Come cittadina, manifestava pubblicamente, teneva comizi, andava a chiedere aiuto a politici provinciali e nazionali, in un periodo in cui ogni dissenso era vietato e non ci si poteva riunire in più di tre persone. Doña María ha combattuto contro un sistema che aveva legami e ramificazioni in tutto il globo. La Storia ha sconvolto la sua vita, ha tentato di cancellarne ogni traccia sino a gettarla nell’oceano, in pasto alle orche.
Angela nacque davanti al mare e in mare morì."


I sequestri dei neonati
di Marcello Gentili

Sara Solar Osatinsky
“A giugno partorì la prima che era Susana. Mentre la stavano portando a partorire nel sotterranei lei chiese che l’accompagnasse qualcuno che non fosse uno dei suoi torturatori o dei suoi sequestratori. Quindi chiese che fossi io. Loro accettarono. Ed è proprio a partire da questo momento che le altre lo seppero e cominciarono a chiedere che fossi io la persona che le accompagnasse.
Mentre stava partorendo urlava chiedendo che mi togliessero le catene, perché non sopportava il rumore delle catene. Un momento così importante e pieno d’amore, con quello che poteva significare e viverlo con quel rumore era terribile. Ma non me le tolsero.”
[…]“Le ragazze che stavano lì avevano conosciuto la mia storia, ovvero che mio marito e i miei figli erano stati uccisi; e in qualche modo mi ritenevano la loro mamma. Non soltanto mi ritenevano una mamma, ma la loro mamma."
“Di più di tutte quante che ho avuto a partorire non conosco nessuna che sia uscita in libertà.
Sì, in realtà l’ho vista (la bambina di Susana Pegoraro), e come! E l’ho avuta anche in braccio. Comunque bisogna dire che i parti erano terribili. Sentire proprio l’urlo… sì, era terribile sentire innanzitutto l’urlo del bambino, il pianto quando nasceva e, in contemporanea, l’urlo della mamma: un urlo disperato perché sapeva che gliel’avrebbero poi da lì a poco tolto.”

Munú Actis Goretta
“È un quadro dantesco pensare che io ero una sequestrata che lavoravo lì, che potevo camminare senza il cappuccio per il sotterraneo, mentre un’altra persona veniva trascinata per essere torturata.
Quando nasceva un bambino e mi portavano ad assistere sia la donna che il bambino, allo stesso tempo bisognava fare delle facce del tipo: “Va bene, a me non mi sta succedendo nulla”, perché io ero all’interno di questo processo di recupero.
La nascita di bambini in questo luogo di morte totale, anche per la mia professione di pittrice, mi dava e ancora mi dà quest’immagine di una donna, un corpo giovane dove la cosa più importante è la pancia della gravidanza e un cappuccio in testa; la portano al bagno, la portano nella stanza delle torture, il posto dove la tenevano fino a che non avesse partorito, per me è l’immagine della morte che partorisce vita. Sapevo poi molto probabilmente che questa donna sarebbe stata uccisa e che non avremmo saputo dove questo bambino sarebbe andato a finire.”


La tortura
di Mario Villani

"“Dov’è Firmenich?” Mi chiedeva il torturatore, tra una scarica e l’altra della picana. Durante il secondo giorno d’interrogatorio, ero come crocifisso sul tavolo delle torture la ‘griglia’ , legato a pancia in sù, con piedi e mani divaricati. Un giovane ufficiale della polizia, soprannominato Tosso, mi infliggeva le scariche elettriche mentre mi interrogava. Io cercavo disperatamente di riprendere fiato, anche soltanto per qualche secondo. Trattenei il respiro e risposi:
“Non ti capisco”
Infuriato, mi inflisse una nuova scarica e ripeté la domanda.
“La domanda l’ho capita, non capisco te.”
Rimase esterefatto: Come è possibile che a questo disgraziato, nel bel mezzo della tortura, gli venga in mente di farsi e farmi delle domande filosofiche? Ma io ero lontano dal fare della filosofia!, volevo soltanto una tregua e, avendolo sorpreso, ci stavo riuscendo…
Senza applicarmi la picana, mi domandò:
“cosa intendi?”
“Tu sei un militante e lo sono anch’io” –gli risposi-, “ma siamo su schieramenti opposti. Ti rispetto come tale (balle!, ma dovevo continuare con la farsa.) Ma, non ti rendi conto che stai facendo il lavoro sporco che ti ha ordinato qualcuno che sta dietro ad una scrivania? Che una volta finita questa guerra non sarai più utile e ti scarteranno?”
Lasciò la picana da parte e si sedette in un banchetto accanto alla “griglia” per discutere. Certo, non mi slegò ed in qualunque momento avrebbe potuto continuare con la tortura ma, intanto, stavo ottenendo il sollievo che cercavo.
“Forse hai ragione –mi disse ma i miei colleghi ed io siamo organizzati. Cercheremo quei burocrati e li massacreremo.”
“Siete più stupidi di quanto immaginavo! replicai . Finirai in questa stessa griglia e qualcuno ti applicherà la picana. Non ti rendi conto che siete dei ‘guanti’, che si usano e poi si gettano?”
Infuriato, mi diede un’ultima scarica e se ne andò, lasciandomi da solo, legato sulla griglia. Dopo mezz’ora venne un altro torturatore a continuare il lavoro. Ero riuscito ad avere mezz’ora di tregua!


La quotidiana banalità del male
di Giancarlo Maniga

"Quella notte non chiusi occhio.
Così per altre notti successive, anche dopo che finì quella prima fase testimoniale.
Eravamo a metà, circa, del 1990.
Dopo una prima fase di istruttoria, rimasta in qualche modo congelata e senza esiti visibili, le indagini erano riprese, secondo le regole di procedura penale da poco introdotte dal nuovo codice, su impulso del collega Gentili e mio, allora per la prima volta approdati a queste difese, mai più abbandonate.
Arrivarono a Roma le persone da presentare al P.M. per una prima ricostruzione di quei fatti.
Sara Osatinski, Ana Maria Marti, Elena Alfaro avevano subito arresto, detenzione e torture, fortunosamente sopravvissute.
Le sentimmo preliminarmente, per cominciare a capire, in dettaglio, quello che fino ad allora conoscevamo sommariamente, più per notizie di cronaca e nozioni generali che per acquisizioni dirette.

L'impatto fu traumatico.
Dalla rievocazione nitida di quelle voci femminili si aprirono squarci di efferatezze impensabili.
Lentamente ma inesorabilmente il quadro si fece più nitido."


La storia di una Madre de Plaza de Mayo
di Vera Vigevani Jarach


Giustizia nelle sentenze
di Nicola Brigida

In Italia si sono svolti due processi storici contro soggetti facenti parte degli alti gradi dell’organico all’interno della pubblica amministrazione argentina.
I soggetti in esame si erano macchiati di delitti gravemente lesivi dei diritti fondamentali dell’uomo nell’ambito del fenomeno dei cosiddetti desaparecidos. si tratta di procedimenti penali che si sono conclusi con la condanna definitiva all’ergastolo degli imputati per aver partecipato durante il cessato regime militare golpista alle pianificate e sistematiche uccisioni di cittadini, tra i quali anche cittadini italiani emigrati in Argentina, contraddistinte dalle caratteristiche di gravità, intensità, arbitrarietà, odiosità ed intenzionalità proprie dei “crimini contro l’umanità”.
Prima di effettuare un sia pur conciso resoconto delle suddette sentenze rese dalla scrupolosa Magistratura italiana ci si consenta di ricordare che il termine "desaparecidos" si riferisce a quelle persone che furono arrestate per motivi politici, o anche semplicemente sospettate di avere compiuto attività “anti governative”, dagli organi statali dei regimi militari argentino, cileno e di altri paesi dell’america latina, e delle quali in seguito non si seppe più nulla.
Del fenomeno dei desaparecidos in Argentina spicca la segretezza con cui operarono iure imperii gli individui-organi dello stato nell’esercizio dei compiti e delle funzioni pubbliche ad essi attribuiti. Gli arresti ed i sequestri avvenivano spesso nottetempo ed in genere senza testimoni. così come segreto rimaneva tutto ciò che ne seguiva: le autorità non fornivano ai familiari la notizia degli avvenuti arresti e le accuse allorché venivano formulate erano del tutto vaghe. della maggioranza dei desaparecidos non si seppe effettivamente mai nulla e solo dopo la caduta del regime militare ed il ripristino della democrazia, con la pubblicazione del rapporto "Nunca más", che permise la ricostruzione di una parte degli avvenimenti e della sorte di un certo numero di “scomparsi”, fu possibile sapere che molti di loro furono detenuti in veri e propri campi di concentramento ed in centri di detenzione clandestini.
Fu possibile inoltre sapere che furono torturati ed infine assassinati segretamente, con l’occultamento dei cadaveri in fosse comuni, ovvero gettati nel fiume Rio de la Plata o nell’oceano Atlantico con i mostruosi voli della morte.


Il futuro dell'ESMA
di Eduardo Luis Duhalde

"Per un lettore che non sia argentino, in particolare per un italiano, che acceda all’opera oggi pubblicata, si chiederà naturalmente cosa ne sia stato dell’ex ESMA, del suo centro illegale di Detenzione e Sterminio e dell’intera area che lo ospitava.

Oggi è diventato lo “Spazio della Memoria e della Promozione dei Diritti Umani”, istituito col benestare del Governo Nazionale e del Governo della Città di Buenos Aires, dove storicamente si trovava l’ESMA. All’interno di esso vi è un edificio che puo’ essere considerato la sintesi dell’esistenza dell’ESMA e che riassume il senso dell’intero complesso: l’ex CIRCOLO UFFICIALI, trasformato in CENTRO CLANDESTINO DI DETENZIONE E STERMINIO durante l’ultima dittatura militare, in cui operò il Gruppo di Lavoro (Grupo de Tareas) 3.3.2”.

Non si tratta di un museo degli orrori né di un monumento funerario. E recarvisi non significa semplicemente visitare un edificio vuoto che fu, un luogo storico, un ricordo doloroso del passato. È molto più di questo. È uno spazio di riflessione, una domanda che ci si pone nel presente. Domanda che ci chiama in causa, che implica una sfida etica, che ci obbliga con carattere restitutivo ad un’introspezione, ad affondare lo sguardo nel terreno della nostra condizione umana concreta e verso l’eredità onnipresente dell’orrore, come tentacoli striscianti dello Stato Terrorista che s’insinuano nelle pieghe della struttura della nostra società e dello Stato democratico.

“La conoscenza diventa sapere quando trasforma le condizioni del soggetto. Si trasforma per ciò che conosce o, meglio, per lo sforzo che fa di conoscere” insegnava Michel Foucault. Quel sapere – ripensato dall’ESMA – presuppone una conoscenza applicata e trasformatrice dell’individuo, perché la si possa proiettare nella nostra dimensione sociale. Non si limita ai contemporanei del periodo della dittatura: abbraccia le generazioni successive e quelle che verranno, come una sorta di specchio in cui guardare noi stessi per scoprirci in quanto soggetto individuale e collettivo di fronte ai segni, alle impronte e ai residui nascosti di quella minacciosa storia incompiuta."


Requisitoria del Pubblico Ministero
Francesco Caporale